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Pensata geniale

Non c’è la minima possibilità che un Bernardo Caprotti vinca più un premio Nobel per l’economia. Quello è qualcosa che si concede a chi elabora raffinate teorie sulle asimmetrie informative o sugli andamenti commerciali, non certo a chi crea lavoro e ricchezza. Figurarsi l’orrore al solo pensiero che i premi Nobel vengano conferiti a degli imprenditori di successo come il proprietario di S lunga, invece che ai Dario Fo delle università americane, come Sitglitz e Krugman. E si capisce perché l’analisi di Caprotti all’indomani del referendum è priva di tutti quegli elementi teorici che sono indispensabili per un giudizio ponderato. Caprotti non si è espresso sull’euro, sulle politiche dell’Europa, sull’austerity. Potrebbe persino essere che Caprotti conosca appena Keynes e non abbia nemmeno un’idea di cosa significa esattamente l’importanza di una politica economica fondata sul debito, rispetto ad una politica recessiva fatta di tagli alla spesa. E se anche Caprotti conoscesse Keynes, ecco che non lo riterrebbe particolarmente importante per comprendere e spiegare la crisi greca, perlomeno non più di quanto possa ritenere utile e interessante Marx, che pure i ministri economici di Siriza considerano la loro esperienza intellettuale fondamentale. Caprotti è semplicemente rimasto colpito da un dato che molti commentati sulla situazione della Grecia non considerano nemmeno. Persino l’intervistatrice davanti all’affermazione di questo dato ha guardato Caprotti con sufficienza sentendosi in dovere di ricordare che insomma, la situazione è ben più complessa. E per carità, la signora intervistatrice ha ragione: "il quadro non è tondo", diceva Leporello e nell’universo mondo non c’è questione che possa essere affrontata semplicemente. Eppure l’argomento di Caprotti è disarmante. Se i greci vanno in pensione a 50 anni, come pensano di essere compatibili con un sistema pensionistico europeo dove chi vi va a sessanta, cioè dieci anni lavorativi più tardi è comunque a rischio sostentamento? La Germania ritiene che l’uscita dal mondo del lavoro a 65 anni sia troppo precoce con il calo demografico della zona euro. Ha torto la Germania? E se in America si lavora 1800 ore secche e da noi si protesta se l’Ikea vuole aumentare l’orario di lavoro il sabato, pensiamo che l’Europa e l’Italia in particolare possano risultare competitive con l’America? Ma non vi tormentate in cerca di una risposta, tanto il prossimo Noble per l’economia lo daranno a chi seduto nek suo studio alla scrivania avrà qualche geniale pensata che la gente comune non riesce nemmeno ad immaginare.

Roma, 8 luglio 2015